Molecole intelligenti per curare i linfomi
Non tutti i tumori reagiscono allo stesso modo ai trattamenti standard. Per questo è fondamentale lo sviluppo di nuovi farmaci, molecole intelligenti in grado di colpire selettivamente e con maggiore efficacia le cellule cancerose. Il professor Carmelo Carlo-Stella, responsabile della sezione di Terapie Sperimentali di Humanitas Cancer Center, illustra il caso dei linfomi.
Innanzitutto che cosa sono i linfomi, e come si curano?
“I linfomi sono un gruppo eterogeneo di malattie causate da lesioni genetiche ed epigenetiche dei linfociti B o T. In genere, hanno origine nei linfonodi per poi diffondersi al midollo osseo, alla milza e al fegato. Si dividono in due grandi categorie: Hodgkin e non Hodgkin. I trattamenti convenzionali che integrano chemioterapia e radioterapia oggi danno risposte efficaci in circa il 60% dei pazienti con linfoma, portando a guarigione o, almeno, a lunghe fasi di remissione della malattia. Il restante 40% dei pazienti, tuttavia, non si giova delle terapie disponibili. Possono essere svariati i meccanismi per i quali la chemioterapia standard fallisce nel curare i linfomi. Le cellule tumorali sono abilissime nell’attivare meccanismi di resistenza alle chemioterapie: per questo è molto importante partire dall’osservazione dei pazienti nei quali si è verificato un fallimento terapeutico per studiare i meccanismi di resistenza farmacologica e fare nuove ipotesi di trattamento mirate”.
Parliamo si nuovi trattamenti da studiare in laboratorio?
“I nuovi trattamenti devono essere studiati in laboratorio prima di essere trasferiti in clinica per verificarne l’impatto terapeutico nei pazienti mediante l’esecuzione di studi clinici di fase I/II. Per chi si occupa di nuovi farmaci, l’obiettivo è mettere a punto combinazioni efficaci di nuovi molecole ‘intelligenti’ che siano in grado di agire sulle cellule tumorali interferendo con le anomalie genetiche, epigenetiche e biochimiche che le rendono capaci di sopravvivere e proliferare all’infinito. In questo modo, il cancro viene colpito in modo selettivo senza alterare significativa- genetiche che causano i tumori rende obbligatorio ‘assemblare’ combinazioni di farmaci per eliminare le cellule tumorali che non vengono intaccate dalla chemioterapia”.
Ci sono nuovi farmaci in fase di sviluppo?
“Sono centinaia i nuovi farmaci capaci di bersagliare recettori o vie di trasduzione del segnale che regolano la sopravvivenza delle cellule o la loro capacità di proliferare attualmente in sviluppo clinico: anticorpi monoclonali di tipo tradizionale o bispecifici o coniugati a farmaci citotossici; piccole molecole in grado di inibire tirosin- chinasi, serin-treonin chinasi o istone-deacetilasi; farmaci immunomodulanti o antiangiogenetici. Alcuni di questi farmaci hanno profondamente modificato le modalità di trattamento delle neoplasie ematologiche. Oggi, è di fondamentale importanza eseguire sperimentazioni cliniche in tempi molto rapidi: questo richiede sinergie che devono coinvolgere centri come il Cancer Center, che effettua ricerca traslazionale, aziende farmaceutiche che disegnano e producono nuovi farmaci, e agenzie regolatorie regionali e nazionali. Sono disponibili molte più molecole di quelle che riusciamo a studiare anche perché, oggi, i tempi dell’innovazione tecnologica (e dunque i tempi necessari a produrre nuovi farmaci) si sono notevolmente ridotti. È necessario riuscire a concludere le fasi iniziali di tossicità ed efficacia dello studio di un nuovo farmaco nell’arco di 12/24 mesi”.
Si tratta di una sfida complessa?
“Sì, ma possibile grazie sia a particolari meccanismi di approvazione dei farmaci introdotti dalle agenzie regolatorie, sia a particolari tipi di studi clinici (i cosiddetti studi di fase 0) che usano farmacodinamica e farmacocinetica come parte integrante dello studio e consentono di prendere in tempi rapidi decisioni critiche relative allo sviluppo di uno specifico farmaco. La recente approvazione dell’anticorpo monoclonale SGN-35 per l’uso clinico nel linfoma di Hodgkin ricaduto è la dimostrazione evidente della possibilità di accelerare l’iter delle sperimentazioni cliniche. E’ molto importante, dunque, inserire negli studi clinici la valutazione di ‘biomarcatori di risposta’, cioè di parametri di semplice misurazione che consentono di predire la risposta clinica ed eventualmente interrompere l’uso del farmaco nel caso la terapia non stia dando gli esiti attesi: questo ha notevoli benefici non solo nella gestione dei rischi per il paziente ma anche ai fini di un uso razionale delle risorse sanitarie”.
Quali sono le prospettive future?
“I nuovi farmaci hanno già rivoluzionato le procedure di ‘drug development’ in Oncologia, ma altri cambiamenti radicali sono prossimi. Oggi, infatti, l’uso dei nuovi farmaci serve prevalentemente a trattare pazienti con malattia avanzata che hanno fallito terapie ottimali di prima linea: non bisogna però dimenticare che le conoscenze così acquisite sui nuovi farmaci consentiranno – inevitabilmente – di posizionare i nuovi farmaci nel trattamento di prima linea di ciascuna specifica neoplasia. L’auspicio, che per certe malattie è già una realtà, è sostituire sempre più la chemioterapia tradizionale con farmaci mirati e terapie individualizzate. Con vantaggi in termini non solo di contenimento degli effetti collaterali, ma anche di accettazione della malattia e della terapia”.