Geni o ambiente: che cosa ci fa ammalare?
L’ereditarietà non è tutto: per la maggior parte delle malattie più comuni, ed in particolare per quelle autoimmuni, l’ambiente e gli stili di vita contano più del patrimonio genetico. Il prof. Carlo Selmi spiega a che punto è il progetto di ricerca sui gemelli cosiddetti identici (monozigoti), sostenuto con i fondi del 5×1000.
Nella genesi di molte malattie è il DNA a impugnare la pistola, ma l’ambiente a premere il grilletto: laddove per ambiente non si intende solo l’esposizione a sostanze chimiche, radiazioni o inquinamento, ma quell’insieme di fattori che intervengono sulla salute, in particolare gli stili di vita, ossia le abitudini quotidiane (fumo, dieta…).
Con i gemelli la natura ci fornisce uno straordinario modello di studio per capire, per ogni malattia, qual è rispettivamente il peso della componente ereditaria e di quella acquisita. “I cosiddetti gemelli monozigoti infatti condividono praticamente al 100% gli stessi geni – spiega il prof. Carlo Selmi, responsabile di Reumatologia ed Immunologia Clinica dell’Istituto Clinico Humanitas e docente di Reumatologia dell’Università degli Studi di Milano -, eppure non è detto che entrambi si ammalino allo stesso modo. Quanto più l’insorgenza di una patologia dipende dalla sequenza del DNA nei singoli geni, tanto maggiori saranno le probabilità che, se la sviluppa l’uno, l’altro lo segua (concordanza). Viceversa, la discordanza nella storia clinica di due gemelli identici suggerisce che per una determinata malattia l’influenza dell’ambiente prevalga sulla predisposizione genetica”.
Il progetto di ricerca del prof. Selmi sostenuto con i fondi del 5×1000 si concentra in particolare sulle malattie autoimmuni, condizioni nelle quali le difese immunitarie, si rivoltano contro l’organismo invece di proteggerlo. “In tutte queste malattie c’è una certa predisposizione ereditaria – spiega Selmi – che però, come dimostrano i gemelli, da sola non basta: nella celiachia, in cui la concordanza è più alta, se si ammala uno dei due l’altro avrà il 60-70% di probabilità di andare incontro agli stessi disturbi; ma nella sclerodermia la concordanza è solo del 5%. Ancora, se uno dei due gemelli monozigoti sviluppa l’artrite reumatoide, il rischio che si ammali anche l’altro è del 30-40%. Un rischio che aumenta soprattutto in chi fuma.
Negli ultimi anni è emerso con sempre maggior chiarezza che ambiente e stili di vita possono agire sulla regolazione del DNA, ad esempio attraverso un processo (metilazione) che attiva o sopprime l’espressione di determinati geni senza modificarne la sequenza. Gli studi sui gemelli monozigoti mostrano che, mentre il patrimonio genetico è pressoché identico per tutta la vita, queste alterazioni esterne (epigenetiche) si differenziano con il passare degli anni, sono associate al rischio di ammalarsi e sono tanto più distanti tra i due fratelli quanto più dissimili sono i loro stili di vita e quanto prima si sono divise le loro strade”.
“I fondi del 5×1000 – conclude il prof. Selmi – ci consentono di proseguire nel lavoro di identificazione di coppie di gemelli in cui uno solo abbia una specifica malattia, per studiare in modo accurato le differenze ambientali che conducono alla malattia stessa. La rarità delle malattie autoimmuni (che tuttavia nel loro complesso colpiscono il 5% della popolazione) e delle gravidanze gemellari rendono queste persone molto difficili da individuare. Il DNA di questi gemelli viene confrontato alla ricerca di modificazioni epigenetiche ovvero di cambiamenti che pur non modificando la sequenza del DNA ne alterino la capacità di produrre proteine”. Le malattie oggetto dello studio sono: sclerodermia, malattie infiammatorie dell’intestino, cirrosi biliare primitiva, colangite sclerosante primitiva.