Cellule staminali per la malattia che trasforma le ossa in pietra

vezzoniLe osteopetrosi sono malattie genetiche caratterizzate da un’alterazione progressiva della struttura ossea. Sono tra le malattie più rare al mondo, e costituiscono un interessante modello di ricerca, ma hanno per ora poche prospettive terapeutiche. Ne parliamo con Paolo Vezzoni, ricercatore del CNR presso l’Istituto di Ricerca Genetica e Biomedica e l’Istituto Clinico Humanitas, che con il suo team di ricerca studia da anni queste malattie.

 

Che cosa sono le osteopetrosi?

“Sono malattie genetiche dell’osso accomunate da un aumento della densità del tessuto osseo a causa di un difetto del numero o della funzione di una particolare popolazione di cellule: gli osteoclasti. L’osso è una struttura frutto dell’equilibrio dell’attività di due tipi di cellule: da una parte gli osteoblasti depositano minerali nella matrice ossea, costruendo ‘nuovo’ osso. Dall’altra, gli osteoclasti degradano la matrice ossea. Tuttavia, quando, come avviene nelle osteopetrosi, quest’ultima popolazione di cellule non è in grado di svolgere correttamente la propria funzione, l’equilibrio va perduto: la durezza dell’osso aumenta (da qui il nome della malattia che significa ‘ossa di pietra’) e si altera la sua forma.

Questo che cosa comporta per i pazienti?

“Le conseguenze sono molto gravi: il canale interno alle ossa lunghe in cui è contenuto il midollo osseo si restringe e viene compromessa la produzione delle cellule del sangue. L’accumulo di tessuto osseo provoca inoltre la compressione di alcuni nervi che scorrono in canali stretti, soprattutto quelli del cranio, portando alla cecità e alla sordità”.

Come si curano?

“Le osteopetrosi hanno per ora poche prospettive terapeutiche. In sostanza, grazie ai progressi effettuati dalla ricerca in questi anni, possiamo fare diagnosi brillanti, ma difficilmente riusciamo a essere altrettanto efficaci nel trattamento. Il trapianto di midollo da donatore compatibile può migliorare il quadro se effettuato precocemente, ma solo se è disponibile un donatore compatibile, il che capita raramente. Negli ultimi anni, tuttavia, qualcosa sta cambiando. Si stanno aprendo nuove prospettive, anche se applicabili per il momento soltanto a forme specifiche della malattia”.

Quali sono le promesse dal laboratorio?

“ Vi sono in realtà vari tipi di osteopetrosi ognuna dovuta ad un difetto in un gene diverso. Le colleghe Anna Villa e Cristina Sobacchi hanno individuato un particolare sottotipo in cui è assente una specifica citochina, che potrebbe essere curata somministrandola dall’esterno. Nel topo la procedura funziona, ma data l’estrema rarità della malattia sarà difficile coprire i costi necessari per trasferire questa terapia al lettodel malato. Per le altre forme, vi potrebbe essere la possibilità di sostituire o correggere gli osteoclasti non funzionanti. Fino a poco tempo fa l’unica fonte possibile erano i tessuti embrionali, con tutte le difficoltà tecniche e le riserve etiche che l’utilizzo di embrioni umani comporta. L’aspetto interessante emerso negli ultimi cinque anni è che le cellule staminali si possono ottenere anche da cellule che hanno completato il loro processo di differenziazione, cioè da cellule di un individuo adulto. Si tratta di una tipologia di cellule staminali simili a quelle embrionali e definite cellule pluripotenti indotte (iPSCs, Induced Pluripotent Stem Cells). Per ottenerle si prelevano cellule adulte ‘malate’ del paziente stesso e si ’riprogrammano‘ in laboratorio, con un percorso a ritroso, fino a uno stadio di differenziazione iniziale. Nel corso di questo processo, inoltre, si ‘correggono’ gli errori che determinano la malattia e, una volta ‘aggiustate’, si restituiscono al paziente dove si mettono a funzionare come cellule sane, riparando il difetto alla base della malattia, nello specifico dell’osteopetrosi”.

Questo approccio è già realtà?

“Finora nessun paziente con osteopetrosi è stato curato in questo modo. Tuttavia, le premesse di laboratorio ci rendono fiduciosi che questa strada possa un giorno aprire nuove speranze per il trattamento”.